08 ottobre 2006

Garfagnana underground: la Romita di Cascio

Con “Garfagnana underground” non intendo sponsorizzare né una metropolitana leggera come pure andare a ricercare, nel sottosuolo, qualche vena mineraria o ricchezza petrolifera locale. Meglio chiarirci subito. Non voglio neppure aprire le porte alla contaminazione del vernacolo garfagnino con l’idioma anglosassone, anche se, spesso e volentieri, è più facile sentire, per i nostri paesi, people who speaks English che non anziani conterranei che parlino della tèra cume faceva il Togno della Nena.

Quando parlo di “Garfagnana underground” mi riferisco, invece, a quella Garfagnana nascosta, poco conosciuta, un po’ fuori dalle mete dei turisti, che non può dirsi “minore”, ma che ancora aspetta di essere scoperta dai più e, forse, meglio conservata o valorizzata.

Bisogna prima di tutto affermare onestamente che, negli anni, di acqua del Serchio, sotto i ponti garfagnini, ne è passata davvero tanta. Chi non ricorda, fino agli anni ’80, tanto per fare due esempi, il triste abbandono della Fortezza delle Verrucole o lo stato disastroso di Montalfonso? Si trattava di ferite profonde nella nostra storia che gridavano vendetta. Possiamo invece dire oggi di aver avuto la fortuna di vedere, negli ultimi decenni, molti dei nostri monumenti che sono tornati, alcuni felicemente altri forse un po’ meno, ad essere dei dignitosi biglietti da visita di tutto il territorio garfagnino. In questo caso possiamo essere orgogliosi per quanto ci appartiene e che abbiamo ricevuto in eredità, conservandolo dignitosamente grazie anche all’impegno di soggetti pubblici sensibili e lungimiranti.

Ci sono però, ancora oggi, realtà che attendono un intervento, luoghi da valorizzare e angoli di Garfagnana che meritano una loro giusta considerazione.

Non è molto tempo che sono tornato a visitare la “Romita di Cascio” o Santa Maria Maddalena. Non so quanti conoscano questo luogo, sperduto nei boschi non molto al di sopra dell’abitato della frazione di Molazzana. Si tratta di quell’antico convento di Monache Agostiniane, originariamente dedicato a Sant’Anna, di cui abbiamo notizia nel 1227, quando il Vescovo lucchese Opizzone lo unì alla chiesa di San Michele di Brancoli. Nel tempo venute meno le suore, il luogo fu conservato da un eremita, da cui il nome, mantenuto fino ad oggi, de “La Romita”. I secoli di abbandono, le guerre come i terremoti hanno purtroppo minato la solida struttura, che ancora mantiene però, nelle pareti rimaste in piedi, i tratti solidi ed eleganti del romanico. All’interno della chiesa, ad unica navata, è nato un piccolo bosco dopo il crollo del tetto a capriate. Ancora si nota l’altar maggiore, le strette monofore nel lato Nord e la massiccia porta che conduceva ai locali ad uso dell’eremita. Alle pareti oramai scrostate dell’edificio sacro sono rimaste murate delle bellissime lapidi funerarie, novecentesche, degli abitanti di Cascio che decisero di farsi tumulare nell’antico convento. Non è facile, soprattutto con la vegetazione estiva, districarsi fra i rovi e gli arbusti del bosco, per raggiungere a piedi La Romita. Il contemporaneo cartello che indica il monumento, sulla strada che da Monteperpoli porta a Montaltissimo, fa immaginare invece al visitatore un facile accesso ed un fabbricato religioso dignitosamente conservato. Sono certo però che, così come accaduto nel tempo per altre eredità garfagnine, anche l’antica chiesa delle Suore Agostiniane tornerà, restaurata, a ricordarci la nostra millenaria storia e l’orgoglio locale per i luoghi della Fede. Questa “Garfagnana underground”, se vogliamo anche affascinante e misteriosa, lascia ogni giorno più spazio ad una consapevolezza della riscoperta come ad una responsabilità collettiva, che ci fa sperare molte buone cose per il nostro territorio.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Signore:
Che sorpresa! Sto cercando qualcosa di Montaltissimo, dove è nata la mia bisnonna Lucia Filippini,una delle 4 sorelle di Teresa ...e subito trovo il nome di Ivonne Escobar. Ivonne è una grande amica nostra, molto prossimo da noi...Abitamo a San Paolo!!
La mamma di Ivonne, si chiamava Tita Bellonzi Bellonzi, era brava nei ricami che faceva e abitava in Ribeirão Preto.Lei era molto amica della famiglia Filippini, della mia bisnonna e il suo padre,molto amicço del mio bisnonno, Giovanni Benassi.

Eliana Crestana
torrear@uol.com.br