16 settembre 2006

Ai tempi del Comune di Brucciano


Fra gli storici garfagnini del passato che ci hanno tramandato qualche notizia, più o meno precisa, sui nostri paesi c’è il cavalier Raffaello Raffaelli di Fosciandora, che parlando di Brucciano nella sua “Descrizione geografica, storica, economica della Garfagnana” del 1879 riporta “…(in antico Brutiano) all'altezza di metri 599 sul livello del mare, e alla distanza di chilometri 2.980 da Molazzana, cui sovrasta quasi perpendicolarmente col dislivello di metri 119. Quind'innanzi non incontreremo più la vite, ma soltanto campi, prati, pascoli, selve estesissime e boschi. Il paese cui siamo arrivati è composto di 29 case con 135 abitanti, divisi in 26 famiglie; ma il Parroco che regge quella chiesa di S. Sisto è pastore di 247 anime, di cui 112 sono sparse nelle vicine campagne, ove si trovano 27 case”. Una piccola comunità, quindi, composta non da moltissime famiglie, che però era già costituita, fin da tempi antichi, in autonomo Comune. Si pensi che gli Statuti di Brucciano si trovano ancora oggi conservati in Archivio di Stato di Modena, sono composti da 35 capitoli e risalgono al 1533-1535. Una modifica alle storiche regole di funzionamento del comune, approvata dai “vocali” (ossia da chi aveva diritto alla “voce”, cioè da coloro che oggi sarebbero chiamati consiglieri comunali) è del 1683, e si conserva, oltre che a Modena, anche a Molazzana, nell’originario registro delle delibere comunitative. Cinque articoli “rinnovano” le norme da osservarsi per il pascolo degli animali, per l’uso dei beni comunali, come per il taglio degli alberi. Si pensi, a titolo di esempio, che tutti coloro che abitavano in Brucciano dovevano pagare le tasse locali, anche se non avevano la residenza, che si poteva acquistare solo dopo ben sette anni di continuativa dimora in paese. Fra le famiglie che sedevano, da tempo immemorabile, in consiglio comunale ritroviamo i Venturelli, ramo di quella famiglia che, trasferita da Ferrara, era giunta in Garfagnana nel XVI secolo e che qui aveva fatto particolare fortuna. Abbiamo notizia, inoltre, che ai vocali appartenevano i Baldassarri, i Pieroni, i Bertoni e i Tosi. Sono rimaste storiche e famose, nei secoli, le liti con gli abitanti del confinante Eglio, che vengono testimoniate in minacce, ferimenti e suppliche prevalentemente nel corso di quasi tutto il Cinquecento. Cito due curiosità che risalgono invece alla fine del XVIII secolo. Il primo febbraio del 1795 il Comune dette all’incanto “il sonar le campane” della chiesa parrocchiale di San Sisto. Si trattava infatti di una funzione pubblica, non prettamente religiosa, che permetteva di avvisare tutto il paese quando si svolgeva la convocazione dei consigli della comunità, con il “suono della Campana Maggiore”. Chi si prendeva quest’onere era inoltre obbligato “a sonar le Campane col sonare l’ora di Notte secondo il solito, e l’avemaria la mattina a buon ora e tenere serrato il Campanile, riguardandolo dai ragazzi, e gente che possano pregiudicare tanto alle Campane che al Campanile”. Il paese aveva inoltre un’osteria comunale, che doveva anche questa, anno per anno, essere gestita da un abitante del luogo, obbligato a “tenerci il pane di Castelnuovo, secondo il peso e secondo i tempi”. Il mestiere dell’oste, un po’ come quello del parroco, implicava rigorosamente che l’assegnatario non poteva “tener mano ai figli di famiglia , a donne, ed altro, che potesse pregiudicare tanto al pubblico, che al privato, sotto pena della dimissione”.

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