23 maggio 2006

Dall’aria di mare al silvoso appennin

Dalle aspre Alpi Apuane al boscoso Appennino di Garfagnana, cantato dall’Ariosto, il passo è breve. Una regione naturale solcata dal Serchio, pascoliano fiume del popolo, che fiero scende verso Lucca, in cui si specchiano cento e più diversi campanili, castelli e rocche inespugnabili, monti aguzzi e dolci colline terrazzate dalla pazienza dell’uomo fin dalla notte dei tempi.

Il vigoroso e continuo scorrere delle acque apuane e appenniniche ha modellato, oltre le strette valli unite da ponti medievali e spesso architettonicamente arditi, una dimensione culturale unica, di gente ancora oggi fiera e orgogliosa delle proprie origini millenarie. Memorie arcaiche che sanno ancora di buono, che ci ricordano il piacere della genuinità, i sapori schietti, la manualità di una volta, il calore familiare del caminetto e le differenti forme di una tradizione altrove scomparsa.

Non è quindi difficile seguire un percorso ideale che, nel corso dell’anno, ci ripropone, cadenzato dalle stagioni, il ritmo di una natura a cui l’uomo si è benignamente adeguato, nei secoli, ricavandone i prodotti migliori della nostra terra. Un calendario delle valli e della montagna, regione naturale di parchi, che partendo dalla ritualità dell’Epifania si conclude, dopo la festività longobarda di San Michele Arcangelo, nell’apoteosi del frutto del castagno.

Come non ricordare e non riproporre, quindi, i biscotti “befanini” che riportano ancora alla memoria i canti di questua e le serate invernali passate “a veglio”; l’olio nuovo, fruttato e deciso; i primaverili fiori d’azalea, delicati e dei più svariati colori; le antiche lotte medievali nelle rocche, risorte quasi magicamente dall’oblio del passato; i canti e i balli popolari, svago sereno nella vita di campagna; il saporito farro cucinato ad arte in torte e minestre; il “formentone” di fine estate, dorato e caldo, trasformato nella farina per polenta dalle macine in pietra mosse dagli impetuosi torrenti; le caciotte ineguagliabili, profumate dal latte di montagna; l’esperienza della norcineria più raffinata; l’artigianato della carta, bene prezioso e dei “gipskatter”, figurinai di un gesso venduto in ogni parte del mondo; i prelibati porcini serviti in più maniere; i necci e il castagnaccio, che con la polenta e la minestra di castagne secche (borghe o tullore), segnano l’apice di una tradizione che non ha eguali.

Non è possibile, quindi, giungere in questa terra senza coinvolgere tutti i sensi, lasciandosi guidare e cullare alla scoperta di un connubio di cultura popolare e gastronomia rispettose delle origini, di arti e mestieri unici ed al contempo universali: un percorso attraverso non comuni Ponti nel tempo.

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