31 dicembre 2002

Questo matrimonio non s'ha da fare

Se non sapessimo che Alessandro Manzoni aveva solo “risciacquato i panni in Arno”, senza frequentare alcun archivio, tanto meno quello modenese, ci verrebbe il dubbio che i Promessi Sposi traessero origine proprio nella nostra terra di Garfagnana.
Abbiamo infatti rinvenuto una relazione del 1605, a firma del Capitano di Ragione di Camporgiano, Niccolò Barisani, che ci riporta un evento che ha quasi dell’incredibile, nel ricordarci il romanzo manzoniano. Tralasciamo, per rispetto dell’attuale sensibilità per la riservatezza o privacy, i cognomi familiari degli “interpreti”, fedelmente riportati dal Capitano, e tutt’oggi esistenti in zona.
La storia, ricca di particolari, ci è raccontata con pathos dal Magistrato che, a soluzione del fattaccio, dovette intervenire per ristabilire l’ordine e suggerire l’applicazione della “grida” corrispondente.
Qui i nostri eroi non si chiamano Renzo e Lucia, bensì Bartolomeo e Stella. Non manca il Don Rodrigo della situazione, l’artefice dell’impedimento matrimoniale; un certo GianCogno da Cogna. Il signorotto locale voleva invece a tutti i costi dar per moglie all’imberbe Bartolomeo la sorella Maria al posto della Stella, e quindi ostacolare la promessa matrimoniale fra gli innamorati che si erano da tempo già dichiarati. Da questa premessa nasce un intrigo degno della più contorta telenovela. co-protagonista il locale Don Abbondio, il Rettore di Livignano. Prete Giovanni Maria, questo il nome del parroco, minacciato e probabilmente ben pagato da GianCogno per dissuadere il giovane dal proposito di sposare la sua Stella, attuò facilmente il suo piano, rifiutando pubblicamente i sacramenti pasquali al povero Bartolomeo, inventandosi un impedimento proveniente addirittura da un ordine del Vicario Generale di Sarzana. Niente confessione né comunione fino a che i due promessi non avessero receduto dalla volontà di sposarsi. Possiamo solo immaginare il clamore di una sanzione come questa. Bartolomeo venne di fatto escluso dalla comunità parrocchiale non accettando la condizione del sacerdote che, “vaso di coccio fra i tanti vasi di ferro”, aveva ceduto alle lusinghe del signorotto di Cogna. I parenti del povero ragazzo si rivolsero allora direttamente al Vicario, al fine di “revocare la commissione” ecclesiastica, riuscendo finalmente, con non poca fatica, nel loro intento. Le risorse dei prepotenti non erano però così limitate, soprattutto agli albori del Seicento. Apparentemente sconfitto, GianCogno pensò subito a come raggiungere il suo obiettivo: la sorella Maria avrebbe dovuto a tutti i costi sposare Bartolomeo, ne sarebbe andata, a questo punto, della reputazione della famiglia. In un batter d’occhio entrò di scena Marcuzzo, il manzoniano “bravo” della situazione, assoldato dal signorotto, che la cronaca ci rivela esser tipo poco raccomandabile (“c’ha sempre fatto il mal cervello…”). Il brigante si appostò un giorno in “una stradella lontano alquanto dalla terra e dalle case”, facendo con uno stratagemma chiamare Bartolomeo. Appena giunto gli si pose davanti, spavaldo e con tanto di schioppo puntato, “col cane tirato”, lo minacciò di morte, affinché si decidesse, una volta per tutte, a prender la Maria come moglie. Il ragazzo riuscì però a distrarre l’assalitore e a scappare, via come una lepre, correndo verso i boschi di Cogna. Marcuzzo, oramai sicuro di aver compiuto l’opera, ed anche per evitare di essere scoperto, lasciò fuggire il promesso sposo, che per timore di una schioppettata restò per giorni nascosto fuori dal paese. Se questo non bastasse, poco tempo dopo, lo stesso GianCogno, artefice del complotto, incontrò Bartolomeo in una selva, “e lo minacciò di volerlo strozzare, se non lasciava la Stella predetta, et pigliasse la Maria sua sorella per moglie”.
Possiamo immaginare lo stato d’animo di questo perseguitato. Morto di schioppo o strangolato, a scelta, se non si fosse ammogliato con la Maria di GianCogno. Il deciso Bartolomeo, innamorato della sua Stella resisteva a oltranza, e allora, tanto per macchinare un altro intrallazzo, ecco entrare in scena stavolta l’Azzecca-garbugli: se le minacce non avessero fatto effetto, forse la legge, che spesso è dalla parte del più forte, avrebbe aiutato il potente signore a danno dei più umili e sprovveduti. Pagati due testimoni, lo zio Franceschino e GiovanBattista da Livignano, ecco tutto pronto per inventare un bel contratto di matrimonio. Con la complicità di ser Fabrizio, notaro di San Romano, in quattro e quattr’otto ecco pronta una “fede”, nella quale i due falsi testi dichiaravano di aver udito una promessa nunziale fra Bartolomeo e Maria, accompagnata da una bella stretta di mano, come d’uso, di fronte al suddetto Marcuzzo. Con questo documento falso GianCogno si rivolse di nuovo al Vicario Generale, per pretendere che almeno la Chiesa imponesse l’adempimento di questo solenne giuramento. Furono così di nuovo impediti i sacramenti all’innocente promesso sposo, fino a che non si fosse finalmente deciso ad adempiere alla (inesistente) promessa fatta.
A questo punto anche gli umili parenti di Bartolomeo presero coraggio e, decisi ad aver finalmente giustizia, giunsero alla Rocca di Camporgiano, chiedendo udienza al Magistrato, per denunciare tutte le violenze e le falsità subite nel tempo dal loro povero ragazzo.
Il dottor Barisani, indagando discretamente in quel di Cogna, scoprì con astuzia che “Marcuzzo non si era mai trovato nel giardino di Prete Gio.Maria a trattare con Bartolomeo di tal negozio”. Forte di queste informazioni torchiò a dovere i due falsi testi, facendo finalmente confessare sia Marcuzzo che Franceschino di aver agito su istigazione di GianCogno. Nessuna promessa di matrimonio era stata in realtà fatta, e il notaro non aveva fatto altro che scrivere quel che Franceschino gli aveva chiesto per conto del mandante, senza neppure la presenza dei testimoni.
Finalmente il piano fu scoperto e i responsabili individuati. La verità, in un periodo dove la legge spesso aiutava le ragioni dei nobili e dei potenti, fu ristabilita e giustizia fatta. Non sappiamo però quale fu la pena comminata per il complotto, rimessa come di consuetudine alla determinazione di Sua Altezza Serenissima. Ci ricorda solo il Capitano di Ragione che la Grida, e stavolta non quella a favore dei signorotti, prevedeva quantomeno il taglio della lingua per chi avesse dichiarato il falso. Chissà cosa sarà stato previsto per le minacce e per la corruzione di un prete e di un notaro pubblico.
Comunque, potremmo dire, tutto è bene quel che finisce bene.
A differenza dei più famosi Renzo e Lucia, frutto solo della fantasia manzoniana, i nostri Bartolomeo e Stella, realmente vissuti nella nostra valle, chissà quale destino avranno poi avuto. Scommetterei che i loro discendenti, superati con la stessa determinazione e coraggio epidemie, guerre, terremoti e carestie, ancora abitino in qualche paese dell’alta valle di Garfagnana.

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