28 marzo 2005

Streghi, pentole d’oro e Santa Inquisizione

Non c’è cultura che non preveda, nei racconti popolari, una qualche alleanza fra le forze dell’occulto e gli avidi uomini, per andare alla ricerca di una spropositata ricchezza. Come non ambire, ad esempio, alla pentola d’oro dei folletti che, per gli irlandesi, dovrebbe trovarsi ai piedi di ogni arcobaleno? Ne ho anch’io una qualche memoria di bambino, tirato su anche con qualche racconto garfagnino a veglio, ricordando una storia lontana, ambientata verosimilmente, dal fabulatore, nella Rocca delle Verrucole, in un anno lontano lontano. Il rito per ritrovare la pentola d’oro si era svolto con la partecipazione di un fanciullo che, durante tutto il tempo delle formule magiche, sarebbe dovuto rigorosamente rimanere in un cerchio disegnato sul prato del castello. Ma, come sappiamo, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, così nella storia il bambino, incautamente uscendo durante il rito dal limite del cerchio, mandò all’aria il piano degli avidi e ne provocò la morte.
Questa la leggenda. Ma quando mai i racconti dei nonni diventano storia? Se andiamo a frugare fra i polverosi atti dell’Inquisizione in Garfagnana, conservati nell’Archivio di Stato di Modena, possiamo scoprire che la famosa pentola d’oro in Alta valle diventa, almeno nel XVII secolo, un documentato lavezzo, ma la forma e la sostanza non cambiano. Sono infatti le carte di un processo del 1668 a carico di un capitan Francesco di Puglianella, che ci riportano incredibilmente in vita quelle che pensavamo, appena giunti all’uso di ragione, storielle raccontate per farci andare, buoni buoni, a letto la sera.
Non è tanto la furbesca, complicata e contorta difesa del nostro garfagnino che, negli atti processuali dell’Inquisizione modenese, può in questo frangente interessare. Vi è invece la candida ricostruzione di un fanciullo, protagonista del sortilegio, che lascia perplessi e arricchisce di particolari che non si trovano nella favola più particolareggiata. Antonio, ragazzino in età di scuola, racconta ai Padri inquisitori, sotto giuramento, di essere stato chiamato proprio dal capitano, mentre si trovava in San Rocco e portato in casa sua dove, due uomini lo aspettavano. Il mago, sconosciuto lucchese, rammentato con calze nere, giubba nera e zazara nera è la rappresentazione stereotipizzata dell’occulto. Il rito inizia ponendo al ragazzo una candela accesa nella mano sinistra e spalmando con della tinta nera il palmo della mano destra. Dopo poche formule, sussurrate in fronte e nelle orecchie, si chiede ad Antonio di guardare il palmo della mano, invitandolo a raccontare cosa riusciva a vedere. L’immagine riportata ha dell’incredibile: io li dissi che vedevo delli homini che venevano nella mano a uno a uno e due per volta e ne venero assai che erino vestiti di tutte le sorte…Questa processione va avanti, e il ragazzo continua a vedere, nella tinta nera del palmo, raccontandolo all’inquisitore, un sovrano (Sua Maestà), che su richiesta del negromante si fa portare la sedia reale, la corona e la banchetta da potersi sotto i piedi. A questo punto, dopo un solenne giuramento, si chiede alla figura reale di indicare dove, in casa del capitano Francesco, sarebbero dovuti rinvenirsi dei denari, forse nascosti dal genitore del militare estense. In questo frangente, racconta Antonio, di aver visto, nella camera con dentro due letti, degli uomini che lavoravano con un palo in mano, portando alla luce prima un manico, e poi un lavezo e che vi erano delli denari gialli e bianchi. Questa l’apparente fantasia del fanciullo, che fa però impressionare per la lucidità del racconto e, negli atti processuali, per una conferma dei fatti da parte di tutti i testimoni portati, dopo un primo interrogatorio dal vicario di San Romano, alla sbarra di Modena.
Per caso ho scoperto poi che, proprio quel capitano Francesco, castellano alle Verrucole, era apparentato con la famiglia di mia madre, chiudendo così il cerchio del racconto che da tanti anni si raccontava in casa. Nessuno sa se il militare di Puglianella mai trovò, effettivamente, il suo tesoro. Ad uno dei fornitori che, pronti, si erano recati a bussare alle porte del castello per rivendicare da Francesco qualche credito, il capitano aveva negato (ovviamente) il tutto. Chissà, forse il tesoro non fu veramente trovato nella camera con li due letti, perché come ci ricordano gli atti del processo, sappiamo bene che, in fondo in fondo, il diavolo, è bugiardo.

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