01 marzo 2002

Garfagnana: la Svizzera italiana ?

Nel calderone dei luoghi comuni bisogna mettere anche questo, ebbene sì. La Garfagnana, a detta di alcuni, sarebbe una sorta di Svizzera italiana.
L’abbiamo visto scritto in articoli, e sentito ripetere più di una volta. Chissà se per merito delle Alpi, ancorché Apuane, oppure a causa di qualche sparuto bovino brucante, raramente visibile ad oggi nei pascoli delle aziende agricole locali?.
Se si vuole fare un complimento alla nostra regione, diciamolo però, una volta per tutte, quando l’immagine è puramente panoramica, che la Garfagnana è la Garfagnana. Punto e basta.
Lo ammetto, io in Svizzera qualche volta mi ci riparo, un po’ per fuga dalle beghe locali, (ovviamente senza seguito di capitali), alla volta di uno sparuto comunello dello Stato del Vaud. Se c’è una cosa che apprezzo, oltre alla Fonduta, al Castello di Chillon, ed alle mucche al pascolo, è la semplice organizzazione di quel paese. Il Sindaco, chiamato Syndic per contrapporlo al Maire francese, s’incontra ogni mattina mentre va a foraggiare le bestie della stalla, e i concittadini li riceve in ogni istante, anche nel campo. Il consiglio comunale si fa praticamente “a veglio”, la sera, e, la burocrazia, è tanto scarna che noi, figli degli azzeccagarbugli borbonico-sabaudi, neppure possiamo immaginare. Questa per me è, senza rigiri di parole, partecipazione ed efficienza.
Come si può notare, sotto questo aspetto, di acqua sotto i ponti del nostro amato Serchio, ne ha ancora da passare.
Ma se andiamo invece ad immaginare i paesaggi della nostra valle, i colori così forti della regione, non riesco a creare delle similitudini.
L’aspra, massiccia e rassicurante Pania di Corfino non mi ricorda certo il verde Jura, come il lago di Neuchatel non è paragonabile al pure dignitoso invaso di Vagli. Quanto la severa e massiccia Rocca delle Verrucole si allontana dal semi gentilizio Castello d’Yverdon! E che dire dei caldi colori dei nostri castagneti autunnali? Cos’hanno da spartire colle foreste di conifere che tappezzano le zone non coperte dai pascoli d’oltralpe?
Gli aguzzi campanili di Orzaglia, Sillicagnana e Riana sembrano mescolare note orientali alla severa architettura romanica, mentre le chiesette calviniste ambiscono ad un’essenzialità talvolta disarmante.
Niente di più lontano da una qualsivoglia forma di paragone.
Ma se passiamo a scrutare i ritmi della gente di montagna, allora ritroviamo quegli atteggiamenti universali che sono scanditi dalla natura, e che nascono, forse, nella notte dei tempi.
Il rispetto proprietario per quei pochi fazzoletti di terra arata, la caparbia affezione a quella casetta distante dalle città e dalle apparenti comodità ci ricordano che, tutto sommato, chi vive in montagna l’ambiente ce l’ha nel sangue, segnato a fuoco nel codice genetico.
La storia ha insegnato a noi montanari che, anche se cambia il padrone, ci sono cose che non mutano, come la famiglia, la terra e la casa, su cui contare e alle quali rivolgere energie e sudori. Questa è anche la storia dell’emigrazione garfagnina e dei suoi protagonisti, della nostra gente, “aspra e rude”, come ebbe a scrivere una giornalista di città.
Impareremo, forse poco per volta, a rispettare di più l’orgoglio per la nostra terra e la cultura che ci distinguono come ci accomunano. Niente Svizzera italiana, dunque. Non perché migliore o peggiore. La Garfagnana è, in fondo, un’altra cosa.

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